Successione di traguardi
Nelle parole di Fabrizio leggo l’affetto di un padre che racconta al figlio Thomas la propria storia di bambino vivace e gioioso che nascondeva alla mamma il dolore al ginocchio, perché ella gli avrebbe impedito di giocare in cortile, di correre e di andare in bicicletta.
Il libro narra la vicenda di un ragazzino tredicenne malato di tumore, le lunghe e ripetute degenze ospedaliere, gli effetti delle estenuanti sedute di chemioterapia, la complicità con gli altri bambini ricoverati e le confidenze con gli infermieri, la dignità nei colloqui con i medici, la forza inesauribile di voler continuare a correre, a giocare e ad andare in bicicletta.
Fabrizio racconta le esperienze adolescenziali, i rapporti con la famiglia, i primi incarichi di lavoro che volle affrontare ed eseguire da persona normale, senza farsi condizionare dalla propria disabilità, la quale, pur nella gravità, gli consentì di ascoltare la diagnosi di guarigione dal tumore, all’età di 21 anni.
Fabrizio racconta la propria passione per lo sport, che da gioco di bambino divenne strumento di riabilitazione indispensabile per mantenere in efficienza la muscolatura a sostegno della corretta postura conseguente all’intervento chirurgico che debellò il tumore.
Ben presto lo sport assunse il ruolo di “successione di traguardi da percepire”: mete sia in senso di prestazioni sportive tecniche, sia di obiettivi di autostima, sia di obiettivi culturali di demolizione dei pregiudizi costruiti intorno alle persone disabili.
Lo sport avvicinò Fabrizio a personaggi famosi e affascinanti (Alberto Tomba, Lance Armstrong, Alex del Piero, sono soltanto alcuni dei loro nomi).
Le delusioni sportive non mancarono, ma esse non scalfirono la
forza e la volontà d’animo. “Non erano rivincite, riscatto,
rabbia e amarezza i sentimenti che avrebbero dovuto spingermi
risalire in bici, subito...
Era il rispetto per tutto il lavoro fatto nei mesi precedenti,
per le persone che avevano creduto in me..., per i miei amici che
avevano patito e sofferto più di me, per mia madre, per il
ricordo di papà che non mi aveva mai visto sconfitto...”.
Grazie anche a queste motivazioni i successi giunsero: record dell’ora in bicicletta, medaglie olimpiche, riconoscimenti personali.
Invito a leggere questo libro con intensità emotiva propositiva.
Ne colgo l’esperienza grande di un uomo per il quale
l’amputazione di un arto ha sì modificato la forma fisica del
corpo che accoglie la sua persona, ma, allo stesso tempo, colgo
la convinzione che la persona medesima rimane espressione della
propria forza emotiva e della propria individualità, le quali
rendono ciascuno di noi una persona “unica”, sempre e comunque,
che si distingue dalle altre a prescindere dall’essere disabile
oppure con dotazione fisica normale.
Con l’occasione ringrazio Fabrizio Macchi per le emozioni
trasmesse dalle sue parole.
Cristina (19.05.2013)
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